PRIVATE MARKETS IN ITALIA

Il 2021 rappresenta decisamente un anno da incorniciare per quanto riguarda il settore dei private markets italiani. La crescita è stata travolgente e ha riguardato tutte le tipologie d’investimento che questo mondo offre.

 

Per quanto riguarda il private equity italiano, il PEM (l’indice che misura l’attività del settore) ha fissato un nuovo massimo storico trimestrale, toccando quota 975. Le operazioni totali sono state 383. 117 quelle concluse nel quarto trimestre, di cui 40 solo a dicembre. Nell’ultimo mese dell’anno quasi la meta degli interventi sono stati acquisizioni finalizzate alla crescita dell’impresa partecipata per vie esterne. Si tratta di una peculiarità del mercato italiano, che punta maggiormente alle aggregazioni industriali rispetto ad altre realtà europee. Sono anche aumentate le regioni con almeno un’operazione rilevante, sintomo di maturità dell’industria. E non sono solo le pmi a beneficiare di questa espansione del private equity. Nel 2021 sono state censite ben due closing di grandi dimensioni, riguardanti Cerved e Dainese.

Non fa eccezione il settore del venture capital. Gli investimenti complessivi hanno raggiunto i 1,243 miliardi, + 118% rispetto al 2020. I deal totali sono stati 334, a fronte dei 111 dell’anno precedente. Particolare rilevanza ricopre l’aumento del numero di operazioni riguardanti la fase di pre-seed/seed (233 contro i 53 del 2020).

In generale tutte le modalità di accesso ai private markets hanno vissuto nel 2021 un boom senza precedenti. Alcuni esempi sono le piattaforme di equity crowdfunding, independent business angel, family office, angel network e i club deals. Questi ultimi, ad oggi, ricoprono una posizione di particolare rilievo. Si tratta di “associazioni” costituite da diversi investitori, caratterizzate da una forte condivisione del rischio tra i membri e create con lo scopo di acquisire o finanziare una determinata azienda. Nel complesso i finanziamenti provenienti da questi strumenti hanno raggiunto i 449 milioni di euro (+92% rispetto al 2020), mentre il totale degli investimenti in startup italiane nel 2021 si attesta su 1,4 miliardi, una crescita del 118% se paragonata all’anno antecedente.

 

Nonostante queste statistiche incoraggianti c’è ancora molto lavoro da fare. La crescita degli investimenti rivolti alle start up e pmi in altre realtà europee avviene a ritmi decisamente superiori, per via di infrastrutture più capillari ed efficienti rispetto a quelle italiane e grazie a una maggiore quantità di risorse disponibili. Inoltre, è importante non dimenticare i vari limiti connessi a questi strumenti alternativi. I club deals, ad esempio, sono una tipologia di investimento caratterizzata da una forte ristrettezza. Sono composti da un’elitaria cerchia di investitori che finanziano aziende a loro vicine. Superare questa dimensione locale, attraverso piattaforme digitali, permetterebbe ai risparmiatori di compiere scelte d’investimento senza tenere conto del posizionamento geografico delle aziende. Allo stesso tempo le imprese potrebbero raggiungere una maggior numero di potenziali investitori. Un altro limite è costituito dalla soglia minima di investimento, pari a 500mila euro. Questo fa sì che il 96% dei fondi alternativi siano riservati a investitori professionali. A marzo è però prevista l’approvazione della riforma che abbasserebbe l’investimento minimo a 100mila euro, rendendo accessibile il mondo dei private markets a molti risparmiatori oggi esclusi dai proibitivi vincoli legislativi e ampliando gli strumenti di finanziamento disponibili alle start up e pmi. La nuova normativa garantirebbe anche un maggior afflusso di liquidita verso i fondi, facilitando l'uscita di quei risparmiatori che desiderano disinvestire. L'aspetto più rilevante legato a questa riforma resta comunque la democratizzazione finanziaria dell'investimento. In questo ambito il leader di mercato è sicuramente Azimut, che già nel 2020 lanciava Demos I, primo fondo di investimento alternativo con una soglia minima di 5 mila euro e più di 11mila sottoscrittori. Ad oggi Azimut gestisce più di 4,6 miliardi su mercati privati.


Un allentamento del piano legislativo diventa più imperativo giorno dopo giorno, con il mondo quotato caratterizzato da movimenti sempre più distanti dai valori reali dei sottostanti e rendimenti negativi sull'obbligazionario. I private markets, dal canto loro, offrono alti rendimenti nel medio-lungo periodo, garantiscono un importante diversificazione del portafoglio grazie alla loro decorrelazione dai mercati quotati e permettono agli investitori di partecipare a quella fase di crescita delle aziende che si verifica prima della quotazione.

Il finanziamento dell'economia reale non può essere responsabilità esclusiva del settore pubblico. Le modifiche normative negli ultimi anni sono state enormi, ma non bastano. Bisogna fare di più.

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